di
Gilberto Pellizzola
Docente di Storia
dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Carrara
Ovvero: frammenti e impressioni, in confronto dialettico ad un procedimento
artistico, che è proprio di Paolo Monti, invece fluido, continuo, come
narrativo. Che si realizza nel tempo reale e nello spazio fisico del fenomeno
tecno-scientifico. In questi termini, avvenimento e opera si identificano e si
concretano nel sito curvilineo dell’orizzonte degli eventi.
Mi accorgo di non trovare altro che proposizioni scandite e separate, una
specie di erranza per approssimazione, nel voler dire con lingua mia
sull’operare di Paolo. Tanto densa e strutturata ed essenziale è la sua ricerca,
altrettanto brada e diseguale sarà la mia. (In questo imbarazzo è il segno della
tragicommedia stantia che ancora oppone “umanisti” e “scienziati”.)
Dice Monti: scienza (non tecnologia), e ciò costituisce subito un caso. La
sua unicità di autore, il brusio del senso, quasi nascosto perché davvero
complesso, del progetto e dell’opera, riposano in un livello ulteriore rispetto
al sembiante “macchinico” e in certi casi para-scultoreo, oppure, altrove,
decantato in luce e immagine e riflesso. In ogni caso, Monti ci conduce alle
soglie dell’impercettibile e ai confini estremi della sensorialità.
L’avventura delle forme è tutta in questa asserzione disinvolta e insieme
trasgressiva, provocatoria: scienza . Parola già epocale e ad alto potenziale
semantico ed evocativo, ma oggi in crisi perché vulgata fino alla riduzione a
simulacro.
Una vera scientificità dentro il fare artistico è rara, e diventa
rivendicazione se raffrontata ai due versanti maggioritari del dialogo risentito
fra arte e tecnologia (nel cui contesto sfuggente sembra comodo rubricare anche
Monti).
Da una parte il primato dell’immagine e della performatività
tecnologica, che tratta con enfasi spettacolare e virtuosismo tecnico il
linguaggio elettronico. Dall’altra un atteggiamento di derivazione poverista e
di neoavanguardia, che sottopone l’ambito tecnologico a prove critiche, a
risultanze problematiche e spesso beffarde. In ambedue i fronti appare
fondamentale conferire un plusvalore estetico alle presenze tecnologiche, come
per redimerle da un vizio d’origine (la scientificità, verosimilmente).
Monti è sempre stato estraneo e diverso rispetto a queste due polarità, dato
che il suo fare conserva ogni volta il rigore e la fantasia della scienza
nell’ambiguità costitutiva dell’esperimento e della magia, del gioco e della
dimostrazione. Che inoltre si arricchisce di stratificazioni e sottotesti in
direzione di una nuova e attuale apologia della ragione scientifica: come
sostanza speculare della ragione creativa. (La diversità di Monti è stridente
specie nel suo Paese, ove gli abitanti – il bel paradosso è di Giulio Bollati –
si sentono postmoderni senza esser stati prima moderni.)
In una veloce e lacunosa figurazione di un albero genealogico di Monti si
dovrebbe leggere la conferma di una nobile discendenza (dal Sublime Tecnologico
sette-ottocentesco a certo Futurismo, da Moholy-Nagy a Fluxus, fino alle
ricerche appartate di Bruno Munari e Piero Fogliati). Ma anche e forse
soprattutto s’intravede una storia leggera dell’intensità, quale nerbo e
movente del dialogo dell’artista con l’ambito della tecno-scienza.
Un’intensità che nelle idee di Virilio diventa addensamento di mistero e
provocazione del limite. Un modo sensuale e però sistematico di affrontare il
problema nell’epoca della sua globalizzazione economica e dispersione sociale e
culturale. La procedura dell’intensità, stare dalla parte delle intensità, come
suggerisce letteralmente Virilio, significa portare all’estremo i già esili
confini fra arte e scienza, come se ciascuna offrisse all’altra se stessa come
specchio e come simbolo reciproco.
Metodo creativo e fantasticheria sistemica non sono quindi ossimori (assodato
ma non ovvio): piuttosto si fondono nell’allegoria di un sapere-fare unitario e
molteplice.
Il tasso di diffusione e compenetrazione del tecnologico in rapporto alla
vita quotidiana e all'immaginario è tale da oscurare pressoché completamente
l’origine scientifica del fenomeno. Come dire che la smemoratezza circa la
dimensione culturale e il portato di innovazione reale delle neotecnologie
produce una sorta di allontanamento, di separazione fra scienza e tecnica.
Nella
coscienza diffusa della contemporaneità non c’è spazio per le relazioni fra
ricerca avanzata, con tutte le implicazioni politiche ed economiche, e finale
risoluzione operativa, percettiva e di massa delle scoperte e delle invenzioni.
La tecnica, occultando la propria radice scientifica, impoverisce la dimensione
umana, sociale e antropologica della tecnologia.
Contro questa ricezione smemorata resiste Paolo Monti, offrendo una via di
riconciliazione fra scienza, tecnica e società attraverso il livello metaforico
e affabulante dell’opera, narrando infinite peripezie dell’energia, del corpo e
della materia, del valore e del simbolo (il danaro!!) entro gli scenari
ritualizzati e pseudosacrali dell’arte.
Monti è un ecologo, e un disinfestante, della percezione. Il suo programma si
svolge, semplificando molto, in un decorso dalla sinestesia all’entropia,
coinvolgendo i sensi e i corpi di coloro che si approssimano all’opera per
accompagnarli verso uno stato immateriale, ove l’emozione estetica si sublima
nel bianco lavorio delle sinapsi. Sinestesia, opera totale, interazione,
interattività: ma non la stupefazione barocca, non l’intrattenimento
multimediale.
Le sue magie, i suoi teoremi, operano una sorta di purificazione degli
sguardi e delle menti – se appena il soggetto dell’esperimento è disponibile,
s’intende – fanno intuire e godere che c’è qualcosa d’altro, di più intenso,
infatti, e di meno ipocritamente univoco.
Non parlo di contaminazioni e virus, per carità. L’immaginario
postapocalittico e cyberpunk non c’entra. Semmai è proprio contro il virus della
contaminazione linguistica che agisce Paolo Monti. Ripeto: è all’unità che egli
tende, ad una rinnovata sintesi armonica, oserei dire rinascimentale – o
bauhausiana. Classicismo, probabilmente.
Gilberto Pellizzola
2000
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